Cari amici di PAN – Archeologia è Territorio,
in occasione del Natale di Roma abbiamo il piacere di
condividere una bella pagina scritta dal romanziere americano Nathaniel
Hawthorne, tratta dal romanzo “Il fauno di marmo”, pubblicato nel 1860.
Il
romanzo trae spunto, e titolo, dalla statua del Satiro in riposo, copia romana
di un originale greco del celebre Prassitele (IV secolo a.C.), conservata nelle
collezioni dei Musei Capitolini, all’interno del Palazzo Nuovo, nella sala che
ospita anche il Galata: lo scrittore, che visitò Roma e vide la statua in
Campidoglio, annotò nel suo diario le impressioni suscitategli dalla visione
del marmo antico e alcuni anni dopo scrisse il romanzo.
La statua, proveniente forse da Villa Adriana
e portata in Campidoglio da papa Benedetto XIV nel 1753, fu tra i pezzi che in
base al trattato di Tolentino raggiunsero Parigi; tornando a Roma solo nel
1816.
La pagina del romanzo che vi riportiamo è un attestato d’amore per Roma:
una pagina antiretorica, spietata e allo stesso tempo appassionata, uscita
dalla penna di uno dei tanti intellettuali, poeti, scrittori, artisti, che hanno
amato Roma visceralmente, spesso più dei romani.
“Quando una volta abbiamo conosciuto Roma e l’abbiamo
lasciata estremamente stanchi, senza dubbio, delle sue strade tortuose e
intricate, così mal pavimentate, con piccole piazze di lava che sono una vera
penitenza, così indescrivibilmente brutte, per di più fredde, così simili a dei
vicoli nei quali non batte mai il sole, e dove un vento freddo penetra con il
suo soffio mortale nei nostri polmoni; - lasciatala stanchi della vista di
quegli immensi caseggiati a sette piani a tinta giallognola, chiamiamoli pure
palazzi, dove tutto ciò che di cupo è nella vita domestica sembra mortificato e
magnificato; e stanchi di salire quelle scale che mettono da un pianterreno di
trattorie, botteghe di ciabattini, stalle di reggimenti di cavalleria, ad un piano
medio di principi, cardinali e ambasciatori, e ad un livello ancora più alto di
artisti, proprio sotto l’inaccessibile cielo; - lasciatala stremati dal
rabbrividire accanto a un focolare fumoso e fosco e dal subire sulla propria
persona la ingorda popolazione di un letto romano la notte; - lasciatala col
cuore malato per l’astuzia ingannatrice degli italiani che sradica qualsiasi
fede nell’integrità umana e malati di stomaco per il pane acido, per il vino
acido, per il burro rancido e la cattiva cucina che inutilmente si esercita sui
piatti diabolici - lasciatala disgustati per la pretesa di santità e la realtà
sordida ognuna delle quali cose sempre ugualmente onnipresente; - lasciatala
quasi senza vita per l’atmosfera di languore, atmosfera il cui principio vitale
è stato consunto e corrotto da miriadi di stragi; - lasciatala in breve odiandola
con tutte le forze, e aggiungendo la nostra maledizione agli infiniti anatemi
che i suoi antichi delitti le hanno attirato;
quando abbiamo lasciato Roma di
tale umore, siamo stupefatti di scoprire a poco a poco che le corde sensibili
del nostro cuore si sono misteriosamente attaccate alla Città Eterna, e ci
sospingono di nuovo verso di lei come se ci fosse più familiare, più intimamente
familiare che il luogo stesso ove siamo nati”.
Nathaniel
Hawthorne, Il fauno di marmo, (The Marble Faun), 1860.
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