martedì 21 aprile 2020

21 aprile 2020


Cari amici di PAN – Archeologia è Territorio,

in occasione del Natale di Roma abbiamo il piacere di condividere una bella pagina scritta dal romanziere americano Nathaniel Hawthorne, tratta dal romanzo “Il fauno di marmo”, pubblicato nel 1860. 
Il romanzo trae spunto, e titolo, dalla statua del Satiro in riposo, copia romana di un originale greco del celebre Prassitele (IV secolo a.C.), conservata nelle collezioni dei Musei Capitolini, all’interno del Palazzo Nuovo, nella sala che ospita anche il Galata: lo scrittore, che visitò Roma e vide la statua in Campidoglio, annotò nel suo diario le impressioni suscitategli dalla visione del marmo antico e alcuni anni dopo scrisse il romanzo.  
La statua, proveniente forse da Villa Adriana e portata in Campidoglio da papa Benedetto XIV nel 1753, fu tra i pezzi che in base al trattato di Tolentino raggiunsero Parigi; tornando a Roma solo nel 1816. 
La pagina del romanzo che vi riportiamo è un attestato d’amore per Roma: una pagina antiretorica, spietata e allo stesso tempo appassionata, uscita dalla penna di uno dei tanti intellettuali, poeti, scrittori, artisti, che hanno amato Roma visceralmente, spesso più dei romani.

Quando una volta abbiamo conosciuto Roma e l’abbiamo lasciata estremamente stanchi, senza dubbio, delle sue strade tortuose e intricate, così mal pavimentate, con piccole piazze di lava che sono una vera penitenza, così indescrivibilmente brutte, per di più fredde, così simili a dei vicoli nei quali non batte mai il sole, e dove un vento freddo penetra con il suo soffio mortale nei nostri polmoni; - lasciatala stanchi della vista di quegli immensi caseggiati a sette piani a tinta giallognola, chiamiamoli pure palazzi, dove tutto ciò che di cupo è nella vita domestica sembra mortificato e magnificato; e stanchi di salire quelle scale che mettono da un pianterreno di trattorie, botteghe di ciabattini, stalle di reggimenti di cavalleria, ad un piano medio di principi, cardinali e ambasciatori, e ad un livello ancora più alto di artisti, proprio sotto l’inaccessibile cielo; - lasciatala stremati dal rabbrividire accanto a un focolare fumoso e fosco e dal subire sulla propria persona la ingorda popolazione di un letto romano la notte; - lasciatala col cuore malato per l’astuzia ingannatrice degli italiani che sradica qualsiasi fede nell’integrità umana e malati di stomaco per il pane acido, per il vino acido, per il burro rancido e la cattiva cucina che inutilmente si esercita sui piatti diabolici - lasciatala disgustati per la pretesa di santità e la realtà sordida ognuna delle quali cose sempre ugualmente onnipresente; - lasciatala quasi senza vita per l’atmosfera di languore, atmosfera il cui principio vitale è stato consunto e corrotto da miriadi di stragi; - lasciatala in breve odiandola con tutte le forze, e aggiungendo la nostra maledizione agli infiniti anatemi che i suoi antichi delitti le hanno attirato; 
quando abbiamo lasciato Roma di tale umore, siamo stupefatti di scoprire a poco a poco che le corde sensibili del nostro cuore si sono misteriosamente attaccate alla Città Eterna, e ci sospingono di nuovo verso di lei come se ci fosse più familiare, più intimamente familiare che il luogo stesso ove siamo nati”.

Nathaniel Hawthorne, Il fauno di marmo, (The Marble Faun), 1860.